venerdì 18 ottobre 2013

La povertà della Sicilia

Il 17 ottobre scorso in presenza di varie personalità politiche, fra cui il  presidente Giorgio Napolitano è stato presentato il rapporto SVIMEZ (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). http://lnx.svimez.info/it/2013.html
Sono da parecchi  anni  un attento lettore del rapporto SVIMEZ (potete trovarne delle copie vecchie nella nostra biblioteca). La lettura del rapporto di quest’anno è particolarmente impressionante perché alla cronica situazione di disaggio della Sicilia si somma la crisi dell’Italia.
Dal 2001 ad oggi la popolazione siciliana è rimasta invariata, ma è diminuita di quasi il 10 % la forza lavoro (nella forza lavoro sono inclusi anche i disoccupati) mentre la produttività è rimasta invariata, per cui la Sicilia è circa il 3.8  % più povera di quanto fosse nel 2001, con un PIL pro-capite di 17.300 euro (da tenere presente che alla formazione del  PIL pro-capite contribuiscono altre voci oltre alla reale disponibilità individuale di reddito: una regola di massima è che occorre dividere per due il PIL pro-capite per avere  una stima ragionevole del reddito disponibile).
Questo livello di reddito pone la Sicilia ben al disotto di Cipro, Polinesia Francese, Porto Rico e praticamente allo stesso livello della Guinea Equatoriale.
Sono in verità contesti difficili da recepire. Vi è invece un aspetto facile da cogliere, basta guardarsi attorno, ed è quello della diseguaglianza sociale e della povertà. Quasi la metà (il 46.6%) delle famiglie gode solamente del 20 % del  già modesto reddito regionale: vi sono quindi moltissime famiglie sotto la soglia della povertà (per l’Istat nel mezzogiorno il 9.8 % delle famiglie è sotto la soglia di povertà fissata in 580 euro mensile).
E’ facile vedere a Catania ambulanti che non si capisce come facciamo a vivere, anche se vendessero tutta la merce.
Fra i problemi della Sicilia vi sono:
- forza lavorativa meno del 50% della popolazione,
- la quasi inesistente struttura manifatturiera,
- la scarsa produttività, circa l’ottanta per cento del livello nazionale,
- la struttura pubblica quasi il 30% in più della media nazionale,
- forte deficit della bilancia commerciale,
- limitato risparmio, 60 miliardi di deposito contro  66 miliardi di prestiti.
L’Italia
La situazione italiana è fra le più difficili e mi sembra un miracolo che la borsa riesca a sostenere senza problemi il rinnovo dei titoli in scadenza. Ovviamente paghiamo tassi di interesse ben maggiori di quanto sia consentito dalla crescita, che non c’è.
Secondo il rapporto Svimez, il PIL dell’Italia si è contratto fra il 2008 ed il 2012 del 6.9 %.
Dal 2001 al 2012 il PIL è cresciuto del 1.6% in Italia, ma ciò senza tenere conto dell’enorme aumento del debito pubblico avuto nello stesso periodo. Al netto del debito pubblico, cresciuto in quel periodo di quasi 1000 Miliardi di euro sottoscritti per quasi il 50 %  da investitori esteri, la decrescita del PIL sarebbe del 2% per anno.
Senza volere entrare nel merito della polemica fra Letta ed Olli Rehn[1], riporto quanto si legge ogni settimana su The Economist (il settimanale economico più letto con oltre 1.5 milioni di copie).
I dati si riferiscono a 41 paesi (G20+ OECD).
-Produzione industriale: Italia -3.0 %.
Zona euro +1% (anche la Grecia va meglio di noi -1.8%, la Spagna +3.5%),  Cina +10.3 %, Stati Uniti +3.2%.
8 paesi hanno il segno meno, ma non è una buona compagnia (Israele, Egitto e Sud Africaetc).
-PIL: solo 5 paesi su 41 sono in recessione, Grecia -4%, Italia -1.8 %, Spagna -1.3 %, Olanda-1.2% e Repubblica Ceca -.7%.
Al posto di Letta sarei stato zitto.

Cosa si può fare

In ST, in particolare a Catania
Anzitutto lavorare di più
. Molte business units stentano a generare utili: per migliorare la situazione ognuno di noi si deve porre come obbiettivo quello di generare valore.
Non lavorare pensando, tanto mi pagano tanto dò: è il modo migliorare per danneggiare le proprie prospettive di miglioramento professionale e di carriera.
Un modo ovvio per fare meglio è quello di lavorare 4 o 5 ore in più la settimana.
Ma non tutti possono farlo o per limiti oggettivi o perché già lavorano al massimo.
Una cosa che tutti possono fare è lavorare meglio, è un impegno continuo che non ha fine.
Lavorare meglio vuol dire molte cose: dare la priorità a ciò che è più importante per l’azienda, non stare a guardare quello che non fanno gli altri ma a ciò che possiamo fare noi.
Può fare moltissimo per il miglioramento dell’andamento un maggiore spirito di collaborazione.
Molte situazioni aziendali hanno la caratteristica di essere molto aperte alla competizione interna.
Un sito che va bene cresce a spesa del sito meno efficiente.
Se Catania va bene, cresce, altrimenti le attività si spostano in siti ST che vanno meglio.
In generale
Una maggiore consapevolezza della particolarità della situazione italiana aiuterebbe ad affrontare meglio i problemi.
Un particolare, di cui sembra che molti non si rendono conto, è che in Italia l’ offerta di lavoro non si incontra con la domanda. Tutte le volte che ritorno dall’Inghilterra ho l’impressione che la gente non ha voglia di lavorare: ovviamente non è così.
Tuttavia da Brico si fa sempre una lunga coda alla cassa, lo stesso da Simply. Da Aucham vi sono le casse automatiche etc. La stessa mancanza di personale si nota in ristoranti ed altri esercizi.
In Inghilterra si trovano giovani ed anziani a coprire questi posti non certo high tech,e non ho mai fatto coda al supermercato.
Nelle code in Italia si trovano sempre persone che hanno lavorato o conoscono  chi lavora per soli 400 euro, non si capisce perché alla fine si abbiano così pochi lavoratori.
La responsabità sia nella miopia dei sindacati e nella accondiscendenza dei politici.

Il cuneo fiscale è una scoperta molto vecchia, per me data solo dal 1992 quando il Corimme assunse i primi inglesi. Allora la quota del NIC (National Insurance Contribution) era del 9% fino a 30 mila sterline e poi il 2%. Altro che il 32% che in Italia si paga come contributo INPS! Adesso in UK è il12 % fino a 40 mila sterline e poi il 2 %.  L’argomento meriterebbe maggiore approfondimento, anche per il fatto che in Italia vi sono alcuni aspetti positivi della previdenza che stanno per essere perduto.
Mi prefiggo di farlo in altra occasione.
Il passaggio dalla quota del contributo attuale ad aliquote più europee deve per forza di cosa (il mantenimento delle pensioni già in erogazione) essere graduale, ma non per i nuovi assunti.
Altra questione molto dibattuta è la flessibilità.
Anche in questo caso la distanza con l’Inghilterra è abissale. Ne ho esperienza indiretta attraverso il lavoro di mio figlio. Contratti a zero ore, occasionali, di tutti i tipi: pur con una laurea in architettura ed in un periodo di crisi ha avuto solo 6 settimane di riposo dopo la laurea ed è stato subito al lavoro, non con gran stipendio. Adesso fa tutt’altro ma per avere i documenti in ordine per una impresa in proprio ha impiegato un solo giorno e 5 sterline!
Di fatto lo stato italiano ha una attitudine predatoria nei confronti dei lavoratori.
In una azienda il vero stakeholder è lo stato che porta nelle proprie tasche ben più di quanto intaschino i lavoratori (circa 120 euro per ogni 100 del lavoratore) a cui poi va aggiunta l’IVA che la società paga, nella maggior parte dei casi, sulla differenza 


La collaborazione con le Università

Nel campo della tecnologia e della progettazione si sfonda una porta aperta, ma ho l’impressione che si possa fare di più.
Dal 2001 molti paradigmi alla base dello sviluppo della microelettronica sono cambiati e sono cambiati anche i driver dello sviluppo.
Catania aveva avuto il privilegio di essere in vantaggio nella radio  frequenza nel 1994 anticipando la concorrenza di ben un anno nel tranceiver singolo chip,  quello che riceve e trasmette il segnale in un telefono cellulare, ma il vantaggio non è stato sfruttato: adesso Qualcomm nella sola RF fattura più del doppio di ST ed abbiamo Broadcom alle spalle con soli 50 M$ di differenza in fatturato.

E’ possibile che il prossimo driver della microelettronica sia costituito dalle applicazioni per la salute.
Sono sicuramente utili nuove collaborazioni e non mancano interlocutori  nella nostra Università.
Questo insieme ad un maggiore impegno a fare bene, potrebbe far localizzare una grossa attività a Catania.
Inoltre devono proseguire le collaborazioni esistenti sia nella progettazione che nelle tecnologiche ma vanno evitate le fughe in avanti verso la prossima tappa.
Deve essere vinta la tappa attuale!
I programmi di ricerca devono essere volti a risolvere i problemi attuali.
La fabbrica dei pannelli solari deve creare valore adesso, non con nuove tecnologie ancora da sviluppare.






[1] Letta: "Rehn non può permettersi scetticismo sull'Italia”. Vedi anche La Repubblica del 3-dic-2013 http://www.repubblica.it/politica/2013/12/03/news/napolitano_europa-72577233/